«Li definisco dei terroristi alla pari di quelli che hanno ucciso papà, forse sono anche peggio. Sono degli assassini, perché uccidono per la seconda volta persone morte in modo così drammatico e offendono anche le loro famiglie che sono straziate da un dolore immenso. Ma offendono anche la maggioranza degli italiani che credono in quei valori per i quali i caduti hanno perso la vita». Queste le parole di Marco Intravaia, figlio del vicebrigadiere Domenico Intravaia, uno dei caduti di Nassirya, all’indomani del corteo per la Palestina, durante la quale i manifestanti hanno bruciato il fantoccio di un soldato italiano e hanno, più volte, intonato l’infame “dieci cento mille Nassirya”. Come se non bastasse l’oltraggioso e tristemente famoso coretto, durante la manifestazione, a cui hanno aderito anche molti esponenti del governo, i pacifinti riescono a vomitare anche qualcosa di peggio: “L’unico tricolore da guardare è quello sulle bare”, scandiscono i vermi comunisti avvolti nei loro stracci della pace. «Quantomeno mio padre è morto da eroe e ha avuto l’onore di essere ricoperto dal tricolore. E le aule del Senato non devono essere intitolate a Carlo Giuliani, ma a uomini che hanno perso la vita per le istituzioni, non a uomini che hanno cercato di minarle» risponde il povero Marco Intravaia che, oltre a dover subire quelle ignobili offese, è costretto anche a subire l’opportunismo e l’ipocrisia di chi condanna gli estremisti della sinistra radicale, ma continua a governare grazie al loro sostegno parlamentare.